mercoledì 24 luglio 2013

Una fine

Anche questa casa è perduta.
Senza cura muore la casa come muore l'amore. Senza cura tutto muore.
Come il giorno in cui ho capito che di aver confuso la pietà con l'amore e sono morto un po' anch'io, soffocato da una distrazione.
Ora è tempo di slacciare un altro nodo e andare altrove.

lunedì 11 febbraio 2013

Come una fine

Il cielo di mezz'inverno è terso, limpido.
L'aria di vetro sembra rompersi al suono delle parole che covo da mesi, che faticano a uscire dal fondo alla gola tenuta stretta dalla mano secca, nervosa di questi giorni. Pensieri come fumo si disperdono nell'aria e tornano a farsi silenzio.
La verità è che quest'aria è troppo chiara per fare fango - la cosa che so fare meglio - e nascondermici dentro. Per sviare, dissimulare, non dire.
La verità è che è ora di imparare a dire la verità.


lunedì 1 ottobre 2012

Autobiografia in forma di trasloco

Sono state cinque case in poco meno di tre anni.
Che gli zingari, in confronto, sono soltanto principianti.

La prima è stata la casa dell'amore e non la dimenticherò mai.
Era una ringhiera lunga tre continenti, piena dei panni colorati dei vicini del Senegal, del profumo di aglio dalla cucina di Rodica, delle grida rabbiose della vecchia barotta per le feste piene di sangria delle studentesse spagnole. E c'erano le francesi che si chiudevano fuori casa e venivano fino in mansarda da noi a chiedere asilo e i cinesi che passavano rasenti i muri senza fare rumore.
C'era lei, che rideva quando mi vedeva parlare con Mohamed che camminava scalzo sul tetto mentre mi spiegava come attaccarmi abusivamente alla parabola di quelli del terzo. E lei ideva e sbucciava castagne da offrire lungo tutto il ballatoio.
Erano giorni come una festa.   

La seconda è stata la casa del dovere e ne sono fuggito.
Grande per accogliere gli amici e bella da non volere andar via, ma mi ha gelato il cuore la perfezione a cui ambiva lo spazio, la composizione perfetta dei ruoli. Avrei dovuto essere perfetto anche io, come i muri appena rasati e dipinti di bianco, ma non ho forma e sono passato in vapore sotto la porta.
Ho pagato caro il dolore lasciato con il nero della mia colpa.

La terza è stata la casa della libertà, dove ho imparato la menzogna. 
Le parole che hanno riempito le piccole stanze ed i giorni erano fatte di niente, come chi le diceva, come di niente era fatta la mia voglia di stare, il futuro ed i muri di carta velina. Con la vicina giocavamo a chi scopava più forte e ci trovavamo la sera sul balcone a fumare: io l'ho fatta gridare di più, le mormoravo ridendo mentre le passavo l'accendino e lei si stizziva e cambiava ragazzo.
Io non cambiavo mai, ma eracome se cambiassi ogni sera.

La quarta casa è stata quella della solitudine, dove mi sono specchiato.
E' stata la tana, il buco, l'antro. Fredda, silenziosa, buia.
La casa dell'esilio, in cui il gatto scaldava più della pelle diafana di chi certe sere mi veniva a dividere il letto. Ho imparato in quel vuoto che le belle parole fanno la pelle trasparente e che per guardarmi davvero non mi servono gli occhi degli altri, mi basta fissare lo specchio e non lasciarmi spaventare dal mostro che ci abita dentro.
Con il peso di quello che sono, ho cominciato a camminare. 

E poi c'è la quinta. 
La quinta che sarà la casa.
Che ieri c'ho dormito per la prima notte, tra cartoni e valige da disfare.
Ma appena uscito, nemmeno il tempo di finire di fumare ed ero davanti al mare.

venerdì 14 settembre 2012

La topografia dei giorni

Quel che mi accade, alle volte, è di perdermi.
E mi meraviglio a guardare quelli che sembrano sapere la strada. 

lunedì 10 settembre 2012

La libertà in forma di gabbia

Quello che desidero, ora, è imparare a tenere.
Il gesto naturale del palmo che si volge in alto, con le dita che lentamente si schiudono, come una gabbia che si apre, come un'offerta: la mano rimane spalancata a mezz'aria e restare o partire può essere solo una scelta. Un volere.
Come succede agli uccelli, che liberati dal vincolo della rete in cui si sono aggrovigliati la vita, rimangono immobili nella mano che dona loro lo stupore e il terrore di una libertà completamente nuova.
E schiuse le dita si guardano pigri intorno, come scelgliere di rimanere a rubare il calore a quel palmo che li sostiene. 

Quello che io ho, adesso, è la mano tesa così, a mezz'aria: solo un'offerta tra le tante del mondo, ma pur sempre la mia.
Quello che io voglio, ora, è solo tenere.

lunedì 3 settembre 2012

La scelta delle fazioni

ginocchiaapunta [d'ora in poi gap]: scusami, dunque, se non sono di nessun aiuto.
l'alter ego femmina [d'ora in poi leaf]: ma che dici?
gap: è che io sono una persona cattiva..
leaf: ma cattiva di che?
gap: che boh, come te lo spiego? è solo che volevo essere dei buoni, io.
leaf: e invece sei solo dei vivi.

venerdì 31 agosto 2012

Il dizionario aperto a caso

Ora che il tempo lo misuro in libri che non riesco più a leggere, nell'accumularsi dei volumi sul comodino, ora che i giorni scorrono veloci e passano sul filo di rame della tua voce che mi racconta segreti che già conosco e i miei pensieri si avvinghiano alle tue cosce e salgono fino alla pancia dei tuoi desideri, ecco, ora, io imparo il senso del lemma "volere". 

giovedì 16 agosto 2012

Dubbi esistenziali #23

Ma il tiro a volo su ballerini di gruppo non è ancora disciplina olimpica?

martedì 31 luglio 2012

Autobiografia in forma di olfatto

Delle cose che si perdono conservo nel naso l'odore.
Quello di stagno delle mani di mio padre e la polvere che si respirava nel retro del suo laboratorio. L'estate che passava veloce profumava di metallo e toluene, mentre una emmeesse bruciava da sola sul bordo del bancale.   
Ho a memoria l'odore di bagolari e polveri sottili che bruciavano il naso quando camminavo sotto le finestre di una ragazza con le lentiggini sulla punta del naso, aspettando il suo eterno spazzolare i capelli di mogano. L'attesa stringeva la confidenza tra me e la sua portinaia in chiacchiere sul futuro che profumavano di melanzane arrostite.
Poi lei scendeva e mi tirava per mano fino a un angolo d'erba dove la seguivo dinoccolato e muto, sollevava un poco la gonna ridendo e non c'era più altro odore che il bianco della sua pelle. L'impasto delle torte, sapone al mughetto comprato al discount.
Ma il profumo che oggi sento più forte è quello che non ho mai sentito: l'odore di buono delle parole che mi hanno sostentuto ogni giorno quando ero da solo, che mi hanno fatto famiglia quando ero orfano pure del gatto. Le parole che erano un sorriso tirato sui nervi o una risata gioiosa sulla musica di un accento lontano.
Quel che mi manca, oggi che sento forte la nostalgia di quel dire, è sentire il profumo di una voce che sospira ridendo: te sei proprio casso

giovedì 19 luglio 2012

Autobiografia in forma di assenza

La chiave nella serratura gira male, come sempre.
Allora bisogna afferrare forte la maniglia e tirare, mentre lentamente si cerca di aprire con un millimetrico movimento a uscire. Un lavoro di precisione, come scassinare ogni giorno il proprio appartamento per poter finalmente levarsi di dosso il peso dei vestiti e ricominciare a respirare l'estate.
Un'estate che poi, in fondo, è solo camminare scalzi ovunque, senza starnutire.
Quando finalmente splanco la porta di casa entro in un forno, dove il gatto arrostisce dormendo ai piedi del letto, in attesa della sera.
Mi accoglie il silenzio e il tuo odore, che avvolge, coprendo di mirtilli la pelle sudata che i vestiti lasciano scoperta mentre cascano rapidi ai piedi, nella penombra del pomeriggio. 
Sento te, ovunque, te che sei andata via: nel profumo delle lenzuola dove mi tuffo stremato dal caldo, tra i pochi fiori che resistono a questo sole, nel frigo colmo e ordinato - non più solo plotoni di birre e alici sott'olio -, nel disordine delle tue cose che si muovono sulle mie.
Non ho mai amato così tanto sapere che tornerai.