mercoledì 30 novembre 2011

A naso freddo

Novembre è un mese che non so capire, così pieno di freddo e di buio che incalza i miei passi lenti.
E io non sono capace di opporre resistenza e piano mi faccio portare via.
Come quando galleggi sul mare calmissimo e ti lasci cullare a occhi chiusi, ché l'acqua sembra ferma e non si sente nemmeno lo sciabordare nelle orecchie, ma all'improvviso qualcosa ti sfiora le caviglie o una mano e sbarri lo sguardo intorno e la paura ti annoda lo stomaco: la terra è lontanissima e forse le braccia troppo sottili per nuotare tutta quell'acqua lì.
E io mi sono lasciato andare troppo lontano. Galleggio nel buio, senza una riva a cui navigare.
Ho il naso freddo, come i cani, e aspetto primavera.
E con questo sancisco l'assoluta superiorità degli animali di letargo.

martedì 22 novembre 2011

A volte penso che

...
ci siamo persi pensando che fosse impossibile
non andar via
fidati di me
rideremo di nuovo e stavolta sara’ per noi
un riflesso incontrollato
una carezza, un gesto, a volte un ritorno
...

venerdì 18 novembre 2011

Autobiografia in forma di foglia secca

Ho freddo, in questo fine novembre che fa male; ho freddo ai piedi che non bastano tre paia di calzini a dare pace. Ho freddo ai piedi che non posso camminare, e sbuffo per scaldare almeno la punta delle dita delle mani. Queste mani che non servono più a niente. Mani senza terra a cui aggrapparsi, senza olive da raccogliere.
E soffio sulla coppa delle dita parole che sono maledizioni, a me che non ho capito niente. Che non ho saputo fare. Che non sono mai ciò che dovrei.
Zoppicare è l'unica cosa che ho imparato a fare. Andare storti, lontano, come i cani presi a sassate dai bambini.
Ma oggi non ho voglia di camminare; rubo la pace a questa stufa: ci butto sopra i piedi e sento che la felicità non è roba che si brucia, ma qualcosa di caldo come una casa.

martedì 15 novembre 2011

Fudeide (ovvero, della stupidità che unisce)

[Interno giorno, un telefono che squilla]
gap: pronti?
fuda: oh, io sto a neipols.
gap: 'mbe?
fuda: stronzo! vabbè, quanto ci metti a venire?
gap: un paio d'ore e sto là.

[3 hours later]
fuda: oh, hai visto?
gap: che?
fuda: è pieno di ciccia baffina, qui.
gap: eeeeh?
fiuda: sì, ciccia baffina, hai presente quando è appena rasata ai lati che...
gap [ridendo]: sì, ho presente, minchione.
fuda: ...
gap: fuda?
fuda: eh?
gap: mi ci stavi proprio a mancare.

[Esterno notte, A1, un telefono che squilla]
gap: e come stai, tu?
epì: e non lo so.
gap: capito, arrivo.
epì: ma no, dai, non c'è bisogno.
gap: sono praticamente già arrivato, quindi non rompere il cazzo.
epì: vado a prendere da bere.

Che poi volersi bene è questa roba qua. Quattrocentoventuno chilometri che scorrono veloci, per ridere insieme, per bere insieme. Per difendersi a vicenda dal buio che arriva troppo presto, in inverno.

lunedì 14 novembre 2011

Quando fa buio presto

Accogliere era la parola che mormoravo ogni volta che ti giravi nel sonno, ogni volta che i tuoi calcagni lasciavano segni viola sui miei stinchi ossuti. Accogliere, sussurravo, quando ti allontanavi e mi lasciavi solo ad affogarmi la voglia nell'abbraccio del cuscino. La faccia affondava nel pensiero che di cambiarmi non son mai stato in grado, e piano annegavo nella palude di non volerti diversa da così. 
Accoglierti era la sola cosa che potevo per farmi accogliere da te.
Poi, solo la vertigine di trovare una porta sbarrata.

giovedì 10 novembre 2011

mercoledì 2 novembre 2011

Tonia

Quel che ricordo sono le sue mani grandi e curve. La pelle sottile come carta, e tesa sul dorso venato di verde. I pollici forti spaccavano melograni producendo il suono secco delle cose che si rompono. E poi era un lento sgranare il rosso dal bianco, con una precisione che sembrava non appartenere a quelle dita tozze.
Dietro gli occhiali spessi le rughe parevano avere ingoiato anche lo sguardo.
Quando la tazza era piena, uno scricchiolare di ossa e una voce richiamavano la mia attenzione:
- Mangia - diceva soltanto.
Alcuni ciuffi candidi sfuggivano allo chignon ingiallito, scarmigliando tra le orecchie e il nero del vestito.
- Mangio - rispondevo pilluccando con le dita i semi succosi.
Quel che ricordo è che di nonna, l'amore, era una manciata di parole che si perdevano nella concretezza dei gesti. Che invecchiare era la meraviglia di prendere la sua solidità di tronco.