martedì 31 gennaio 2012

A sangue caldo

Il gelo che copre la strada, la mattina, mi ricorda la sua pelle senza sangue.
Dalla finestra, lo fisso vagamente annoiato, con l'espressione distante che serbo per le piccole cose cattive che talvolta incrociano il giorno. Cerco nel caffé bollente la voglia di buttarmi fuori casa, di muovere i passi necessari fino all'auto, cauti e senza peso, che lasciano tracce leggere, destinate a svanire nel nulla di questo freddo.
Esco, infine, e come un cane infilo il muso nella mia sciarpa colorata, alla ricerca di calore. E di un odore che non è mio, ma che riconosco e mi appartiene fin sotto la pelle.

Aspettare che passino questi giorni è un esercizio che conosco nel dettaglio: ci si copre e ci si lascia andare al vino. Ci si scalda, si fuma e si brinda: che passi la merla, di questo freddo non resterà più nulla, nemmeno il ricordo delle mani gelate.
Gli umani sono animali a sangue caldo. Delle lucertole, francamente me ne infischio. 

[Amichen, tieni botta] 

venerdì 27 gennaio 2012

Senza titolo

In questo giorno che serve per ricordare, quel che mi vedo intorno - e mi fa paura - è il talento di dimenticare in fretta. Colpevoli tutti e tutti nella stessa misura.
Come se il gioco di reinventare il passato potesse servire a cancellarlo, a ridare un senso ai vuoti d'oggi. A ripulire, a giustificare. La Storia, come le proprie miserie.

martedì 24 gennaio 2012

Verde

Mi piace la strada che si riempie di silenzio, la sera. E questo dolore di ortiche alle gambe, il senso della fatica che fa scricchiolare le ossa e leva il veleno dal sangue.
Mi piacciono le mani che non stanno mai ferme, che rubano spazio alla vanità dei pensieri. E vorrei diventare come mia nonna, che pensava con le sue dita - dita feroci ad aprire le mandorle - e le sue parole erano solo un attrezzo per costruire: ci riuniva intorno alle sue ginocchia ricamandoci sulle spalle, con un filo di lana, le parole di casa. E noi ci avvitavamo a quel pavimento di legno, senza volere più andare.
Ciò che ora voglio è solo imparare. Imparare a usare le mani per fare, ché le orecchie sono stanche del sapore di vuoto che fanno le parole sentite, che le labbra non hanno più il senitmento di dire.
Per me desidero unghie sporche di terra e addosso il sudore, la fatica naturale di costruire, un po' di silenzio per guardare le foglie nuove che già stanno arrivando.
Tra il sale e i capelli.

martedì 17 gennaio 2012

Dalla finestra

Oggi, qui, era tutto così terso che socchiudendo un poco gli occhi riuscivo a vedere fino a te.
Sono tanti chilometri, sai?
Ma ti stanno proprio bene quelle scarpe lì con un po' di tacco.

giovedì 12 gennaio 2012

Autobiografia in forma di riccio

Guardo fuori. Ché la sera m'ha preso alle spalle e non mi sono accorto.
Guardo fuori e non ti ascolto. Vedo solo l'ombra del tuo capo che si muove in disappunto; dei larghi no della testa, fai, che fanno ridere con quei capelli radi e senza onda.
E dei sospiri, sento, ostentati alle mie spalle indifferenti.
Sono un bambino che non capisce le regole del gioco e che ripeterle non serve.
Potresti sfinirti nel ridire a memoria gli articoli ordinati che ti muovono la vita. Potrebbe caderti la testa a terra in quegli un due tre che citi senza requie, fino al centosessantasette. 
Io, ahimé, capisco solo di animali nascosti dentro le conchiglie, di stelle a sette braccia, di guizzi delle pinne. Capisco di onde e un poco delle pietre. Dei semi, capisco, che germogliano sotto la neve.
Altro non so del mondo. Altro non ho voglia di sapere.


[Scusate. E' stata una lunga giornata di lavoro. E non è ancora finita. Lasciatemi andare a casa. Perfavore]

lunedì 9 gennaio 2012

Procrastinators Club

L'edificio è una sagoma squadrata nella foschia del mattino. Una sola luce accesa, al primo piano, mi guarda di traverso; è uno sguardo guercio che mi fa rimpiangere la sicurezza della tana. Ancora più del freddo. L'uscio, dabbasso, sono fauci spalancate che vogliono inghiottirmi, lo si capisce dallo sbattere tremolante delle labbra della porta. Come un mugugno di appetito subito prima della cena.
Non vorrei entrare, ma non so più dove fuggire. Dove nascondermi.
Metto in fila i passi, unoduetre, sospiro e mi lascio inghiottire.

Dentro è buio. Gelido. Sento un bisbiglio provenire dalle scale e rumore ovattato di passi.
Tremo.


Poi, vabbè, la pianto di fare l'idiota, accendo la luce e beggio.
Lentamente mi trascino su e mi accascio alla scrivania della mia collega preferita: "voglia di lavorare, saltami addosso" è l'unica cosa che riesco a dirle prima di essere sommerso dalle tonnellate di cose che ho procrastinato alla fine del 2011.
Annegherò.
E comunque la velocità è sopravvalutata. Secondo me.